I versi che avete letto sono tratti dalla mia raccolta di poesie “Ero feroce in sogno”.
La scrittura è sempre stata salvifica per me. Mi rivedo ancora ragazzina, mentre seduta tra i sassi solidi di un angolino sotto casa scrivevo sul taccuino ingigantito da pensieri tanto ruvidi.
Ricordo l’odore di quella carta, la pioggia che ogni tanto la bagnava. Ho sempre amato scrivere sotto la pioggia, così come ho sempre amato scrivere lasciando danzare i miei pensieri sulle note di un pianoforte stanco, che suona attraverso un mp3 verde e un po’ rotto, vissuto fino al suo consumo.
Come le pagine consumate che mi guardavano terrene e ferme quando finivo di scrivere. Mi guardavano negli occhi; complici gentili e forti di un lavoro appena svolto, catartico esercizio di frammenti interni che per la prima volta e liturgicamente conducevo fuori, come una carezza, e le pagine diventavano individui che conoscevano la mia Ombra.
La loro risposta consisteva in un resistente fissarmi senza posa, senza sghiribizzi. Ho rispettato la mancanza di spavalderia e di buoncostume di quello sguardo. Ho sentito quanto mi rispettasse.
“Ero feroce in sogno”, e sul foglio mi confermavo pagina ancora da scrivere, che mai si sarebbe esaurita, rinnovandosi nelle spirali di un sogno fatto di fuoco e desiderio ardente.
Per l’anima che brucia scrivere non è una scelta, ma un rito necessario di salvezza, espiazione, scagionamento.
Quando chiudo gli occhi quelle pagine mi guardano ancora: il mio nome me l’hanno dato loro.
“Quando scappi dalla realtà struggente
per rifugiarti nel tuo spazio
lontano
io sono lì.”
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(Roberta Margiotta)