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Si sa, pubblicare libri di poesie in Italia è sempre una scommessa. Ormai quasi nessun editore serio lo fa più. Sono rimasti quelli a pagamento, che però, ovviamente, non contano.
Il mercato editoriale preferisce non puntare sui poeti, convinto che la poesia non venda abbastanza.
Noi di Pop Edizioni invece abbiamo deciso di scommettere su Roberta Margiotta, una giovane e talentuosa poetessa qui alla sua prima prova, per valorizzare grazie a lei un genere letterario imprescindibile, da cui tutta la storia della letteratura è nata, e che continua a rappresentare una fucina di sperimentalismi.
La poetica della Margiotta è crepuscolare, come si può notare anche dall’incipit del componimento d’esordio qui riportato, che rappresenta una sorta di testo programmatico rispetto all’intera opera.
Lo stile ricorda le elencazioni di un giovane Ginsberg. Il tema trattato è quello ricorrente di un rapporto di amore e odio verso l’esistenza e le varie manifestazioni di essa: eventi, persone, oggetti, incontri.
L’autrice è perennemente combattuta tra una generosa apertura verso l’esterno e un ripiegamento su se stessa vissuto come rifugio dal mondo:
“La mia strada è
semplicemente un addendo di chiunque
quei chiunque
per cui ho creduto di vedere Dio
– rivelatosi poi solo
l’ombra della mia alterigia.”
La ricerca di un momento di requie, almeno apparente tra le tante angosce che la vita comporta, approda a una figura dalle connotazioni genitoriali:
“Perché tu donna curarmi devi
da me stessa.
Mamma
amami
dimmi che ne ho il diritto.”
Un approdo che si delinea come un ritorno al ventre materno, prima che tutto avesse inizio.

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