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Questa è la storia di Wafaa, che per fuggire dalla guerra parte dalla Siria insieme al marito e ai figli per raggiungere l’Egitto, dove si trova la sua famiglia paterna.
Il viaggio è infernale, ma l’approdo non è da meno, quando Wafaa vaga per i vecchi quartieri del Cairo, scoprendo che dei suoi parenti non c’è traccia, e decide così di ripartire ancora una volta insieme all’intero nucleo famigliare.
“In fondo, stare lì o altrove che differenza poteva fare? Sarebbero stati stranieri ovunque.” Rischiando stavolta la furia del mare e gli spari della guardia costiera egiziana pur di trovare una nuova via di scampo al di là del Mediterraneo, sulle coste siciliane.
Quella di Wafaa è una delle nove biografie raccontate da J.H. Yasmin nel libro “La mia patria sono io”.
Nove racconti. Nove donne. Nove storie egiziane. Nove modi di affrontare la vita in una terra in cui le donne sono le prime vittime di una cultura arretrata e patriarcale.
Le terribili disavventure di Wafaa troveranno un lieto fine. Ma non è così per tutte.
Le voci che la scrittrice ha raccolto ci raccontano di soprusi per noi impensabili, nonostante i pochi chilometri di distanza che ci separano dall’Egitto: segregazioni domestiche, infibulazione, cieca obbedienza a mariti e suocere, violenze, divieto di proseguire gli studi, divorzi imposti dai capricci di mariti che da un giorno all’altro le obbligano a far ritorno a casa dei genitori ricoperte di vergogna e senza prospettive future.
Chi ha accettato di raccontare la propria storia a Yasmin lo ha fatto nella speranza di dare almeno una piccola scossa a una struttura sociale frustrante e insopportabile per molte egiziane, a cui è negata anche solo la possibilità di manifestare la propria opinione.

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