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La poesia che avete appena letto è tratta dalla raccolta “Ero feroce in sogno”, di Roberta Margiotta, che rappresenta l’esordio di una poetessa appena ventenne che si consegna al lettore senza schermare in alcun modo le proprie contrastanti, intense emozioni.
C’è in questi versi un’urgenza di parole: il bisogno di esprimersi in una lingua innocente e istintiva, di assecondare il proprio ritmo inedito oltre ogni distinzione fra metro e prosa, una “terribile voglia di rinascere”, di essere corpo e di essere anima all’ennesima potenza.
Il corpo che viene percepito “come un estraneo ed estremo limite alla vita”, il corpo vivo, pulsante, che si dilania (e ci dilania) tra dubbi e insicurezze, desiderio di esistere e di affermarsi nella concreta possibilità di piacere e piacersi, e il timore di essere respinti.
Parole che richiamano alla mente quelle urlate dalla rapper BigMama durante il concerto del Primo Maggio a Roma, contro il body shaming e ogni forma di bullismo: “Mi gridavano cicciona! Guardatemi ora!”.
È possibile rispettare gli altri, quando non si riesce ad accettare neppure se stessi?
Quando insultiamo qualcuno per il suo aspetto fisico, stiamo riversando su di lui il rancore che proviamo per noi?

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