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La settimana scorsa questa rubrica si è occupata di sineddoche.
Stavolta parleremo di una figura retorica simile, tanto da rischiare di essere confusa con essa: la metonimia.
Entrambe rappresentano un trasferimento di significato da un termine all’altro, tra loro collegati. La principale differenza è che la sineddoche agisce su base quantitativa, la metonimia funziona su base qualitativa.
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi.
L’uso dell’astratto al posto del concreto e viceversa: “La bellezza di Roma” per decantare i monumenti romani; “Ho paura del suo sguardo” per sottintendere l’autorità di qualcuno.
Il luogo per indicare l’ente o la persona lì ubicati: “il Quirinale” per alludere al Presidente della Repubblica, il cui palazzo è su quel colle.
E vale anche quando si usa il luogo d’origine per designare un prodotto specifico: “Due fette di Bologna, per favore”, se avete voglia di mortadella.
L’artefice per la sua opera: “Ho letto tutto Melville”.
L’effetto per la causa o la causa per l’effetto: “Quando gli ho detto così è diventato paonazzo” per indicarne l’imbarazzo; o, al contrario, “Ha una bella mano” per dire di qualcuno che disegna bene.
La materia per l’oggetto, come quando si dice “i ferri del mestiere” per riferirsi agli strumenti forgiati in quel materiale, oppure quando “legno” suona come sinonimo di “barca”.
La sostituzione del contenuto con il contenitore: “Ho bevuto una lattina di birra”, quando in realtà si è bevuto il liquido in essa presente.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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