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Questa volta tenteremo di illustrare la sottile differenza che passa tra figure retoriche all’apparenza quasi indistinguibili. Ci riferiamo a quelle espressioni linguistiche che funzionano tramite l’accostamento di due diversi elementi.
Prendiamo per esempio la metafora, che consiste nel sostituire un termine con un altro che lo richiama, magari dotato di maggiore forza lirica o più suggestivo, per imprimere vigore al concetto che si vuole trasmettere, come i capelli della donna amata da Petrarca, che il poeta definisce “d’oro” per rendere nella maniera più vivida il loro bel colore biondo.
L’accostamento operato dalla similitudine è invece più cauto e avviene attraverso l’uso degli avverbi “come” o “quanto”: “sei giovane come l’acqua”, “sei forte come un toro”, “tuo cugino è alto quanto una montagna”.
L’allegoria è la rappresentazione concreta di un concetto astratto, come la lonza dantesca che sta a indicare la lussuria o il leone che impersona la superbia o, ancora, la lupa che, secondo i commentatori, sta a significare la cupidigia.
Il “simbolo” nell’Antica Grecia era una tessera divisa in due parti che, una volta ricongiunta, serviva come documento di riconoscimento per i relativi possessori.
Nella retorica classica, al contrario dell’allegoria, rappresenta qualcosa di concreto, come quando si afferma che il giglio è il simbolo di Firenze o quando il caduceo, simbolo dell’arte medica, viene appeso fuori dalle farmacie per segnalarne l’ubicazione.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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