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La tradizione talmudica, poi ripresa da quella cristiana, suddivideva l’interpretazione dei testi sacri in quattro fasi.
Se secolarizziamo il metodo, può tornarci utile anche nell’esegesi di un testo di intrattenimento, come un romanzo o un racconto, del tutto privo di intenti trascendenti.
Qui di seguito elencheremo i cosiddetti “quattro sensi della Scrittura” come furono sviluppati dai rabbini prima e dai Dottori della Chiesa, a partire dal Venerabile Beda.
Innanzitutto troviamo il significato letterale, o storico. Con ciò si intende la lettura basica del testo ossia la fruizione del libro per quello che esso descrive o il suo autore ci vuole trasmettere (è quella che l’ermeneutica moderna chiamerà “intenctio auctoris”).
Dopo di che incontriamo il significato allegorico, che ha un valore metaforico. Si ha quando non ci si accontenta della semplice apparenza delle parole, ma si cerca di capire il senso superiore cui esse alludono.
Segue il significato tropologico, anche chiamato “senso morale”. Nel senso classico, ossia nel suo impiego confessionale, sta a indicare un sottotesto che chiarirebbe quali siano gli ostacoli e i premi che il fedele incontra nel suo percorso verso il divino.
Per un interprete laico può invece servire a comprendere meglio i patimenti, le gioie, le angosce comuni a un dato personaggio letterario come a chi ne legge le vicende e, più in generale, all’umanità tutta.
Infine il significato anagogico, rivolto al futuro. Dove sta andando la nostra specie?
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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