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La richiesta dell’attuale Presidente del Consiglio di essere chiamata “il” presidente, nonostante sia di sesso femminile, ha riportato un’antica questione anche all’interno dell’ambito linguistico, parallelamente a quello politico: con quali termini è più giusto definire le professioniste?
Devono essere chiamate come i colleghi uomini, basta variare l’articolo, o è meglio declinare la parola al femminile?
Già esistono designazioni che storicamente presentano un suffisso di derivazione francese applicato all’originario termine maschile, come professoressa, leonessa, gigantessa eccetera.
Ci sono poi sostantivi più controversi come avvocatessa o presidentessa appunto, di normale utilizzo fino a poco tempo fa, ma che alla sensibilità corrente sembrano suonare quasi parodistici. Più di una legale pretende di essere semplicemente indicata come avvocata, e in effetti l’origine latina della parola lo consente.
Per presidente la questione, a ben vedere, neanche si pone, essendo il participio presente di presiedere, che quindi rimane invariato sia al maschile che al femminile.
Molti linguisti lamentano il brutto suono dei nuovi termini femminilizzati. Chi li difende sostiene che la cacofonia sia solo apparente, dovuta al fatto che ancora non ci abbiamo fatto l’orecchio.
Chi vincerà la disputa?
L’esteta o il nomenclatore politicamente corretto? Ci vorrà un po’ di tempo per scoprirlo, da sempre è l’uso quotidiano a decidere la fortuna o l’insuccesso di parole di recente introduzione.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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