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Chi vuole fare lo scrittore deve abituarsi all’idea di restare solo, calato nei propri fumosi pensieri, distante dal resto del mondo per svariate ore al giorno.
Anche qualora avesse l’abitudine di scrivere seduto al tavolino di un bar, come Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si immergerà nella propria bolla, da cui sarà impossibile comunicare con l’esterno sino alla fine del lavoro: non c’è buona scrittura senza la massima concentrazione.
Tutt’al più potrà avvalersi di un apposito “kit dello scrittore” personalizzato, ossia di una serie di oggetti di cui circondarsi che possano tornargli utili come strumenti di lavoro o come comfort personali, in una sorta di transfert psicologico.
Sono diventati quasi leggendari Leopardi e i suoi cioccolatini, le pipe di Simenon (e le prostitute con le quali si intratteneva per “liberarsi la mente” prima di iniziare a scrivere), Hemingway e i suoi cicchetti (benché pare che durante la scrittura sospendesse temporaneamente le bevute a favore di una piena lucidità, per poi tornare ad alzare il gomito non appena metteva la parola “Fine” al romanzo in corso).
L’importante è non esagerare troppo con questo genere di conforti personali, se non si vuol fare la fine di Stephen King, che più volte ha ammesso di non ricordarsi minimamente come fosse andata con la stesura del romanzo “Cujo” per quanto era strafatto di birre e cocaina mentre narrava le gesta del cane assassino.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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