Ultimamente si fa un gran parlare dell’A.I., l’intelligenza artificiale capace di scimmiottare la creatività umana.
Già da qualche anno se ne vedono un po’ dappertutto le applicazioni, talora strabilianti, nei vari campi artistici. Inserendo una serie di parole-chiave in alcuni programmi informatici, per esempio, si può ottenere un’illustrazione originale o la simulazione di una fotografia spesso molto convincenti, proprio come se fossero state create da un essere umano.
Oppure, si può chiedere alla “macchina” di scrivere il testo di una canzone su un determinato argomento e con un determinato stile (un testo sui fiori nello stile di Michael Jackson): la macchina eseguirà.
Anche la letteratura è stata contaminata: esistono già app a cui è possibile impartire precise direttive in cambio di un racconto corretto sia dal punto contenutistico che formale.
Certo, il risultato non è ancora equiparabile a un pezzo di narrativa professionale, ma ci sono larghi margini di miglioramento e forse non manca molto a quando sarà impossibile distinguere un testo umano da un testo IA.
C’è già chi se ne preoccupa immaginando un futuro mercato editoriale costituito unicamente da robot-scrittori.
Magari saranno impiegati nella cosiddetta letteratura di consumo. In quel caso, saremo invasi da una moltitudine di libri gialli o rosa frutto di scrittura automatizzata.
E il passo successivo quale sarà? Inventare anche dei robot-lettori che possano apprezzare questi romanzi?
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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