Oggi prendiamo spunto da questo breve brano, tratto dal romanzo di Lilia Scandurra “Il sangue non fa rumore”, appena pubblicato da Pop Edizioni, per parlare di un tema piuttosto spinoso: come scegliere il nome da dare ai propri personaggi?
In questo attacco, che ricorda l’incipit del “Moby Dick” (“Chiamatemi Ismaele”), in realtà è il personaggio stesso a darsi un nuovo nome, più confacente al suo stato d’animo rispetto a quello anagrafico, che sarebbe Gioia, cioè l’esatto contrario.
Gli scrittori da sempre giocano con i nomi attribuiti ai personaggi che inventano, come il Dottor Pangloss del “Candido” di Voltaire, dal greco “tutto lingua”, ossia uno che usa la retorica per circuire i propri interlocutori.
O Atticus, l’avvocato protagonista di “Il buio oltre la siepe”, solido e saggio come un antico ateniese.
Romeo era l’antico nome che si conferiva a chi partisse in pellegrinaggio verso Roma. Da qui nascono i versi che egli dedica a Giulietta: “Le mie labbra come due pellegrini chiedono la grazia di riparare la rude offesa con un dolce bacio”.
Ci sono i cosiddetti “nomi parlanti” del Manzoni: Lucia che è luce pura (da cui il cognome Mondella), Renzo che richiama le pene di San Lorenzo sulla graticola, Fra’ Cristoforo, letteralmente “portatore di Cristo”. O ancora l’Azzecca-garbugli.
Simenon invece, senza scervellarsi troppo, per dare un nome alle proprie creature letterarie apriva l’elenco telefonico e lo sceglieva a caso da lì.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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