Uno scrittore parla di ciò che ha vissuto o vive determinate esperienze con l’unico scopo di raccontarle?
“Per la scrittura io ho fatto tutto, mi sono ridotto persino a vivere”, scrive Aldo Busi in “Sodomie in Corpo 11”.
In effetti, non è raro che la fame di vita di un autore nasca in realtà dal bisogno di avere materiale sempre nuovo per la sua attività, che lo può anche condurre ad avventure estreme pur di “portarsi a casa” un inatteso spunto letterario o arricchire il proprio bagaglio esistenziale, dal quale attingerà poi particolari e osservazioni che non faranno che rendere più veritiera e apprezzabile la sua arte.
Lo scrittore spesso si sente chiamato a provare, se non tutto, perlomeno più che può di quel che gli offre la vita, e se la vita non gli offre abbastanza si va a cercare instancabile storie sufficientemente stimolanti, anche dovesse discendere agli inferi e risalirne come un novello Alighieri.
L’immaginazione, certo, è una dote imprescindibile per chi si accinga a riempire di inchiostro delle pagine bianche, ma essa, senza una realtà esterna a cui riferirsi, vale come un contenitore vuoto.
Lo scrittore avverte la necessità di annusare profumi e puzze con il proprio naso, osservare ciò che lo circonda con i propri occhi, fare esperienza diretta di tutto quello che poi farà interpretare ai personaggi sgorgati dalla sua pur vivida fantasia.
Lo scrittore sente il bisogno di vivere ciò che ha intenzione di descrivere per poterne trarre le giuste suggestioni e veridicità.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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