“Si concentri sull’insegnamento, Miss Alcott, lei non è una scrittrice”. È così che l’editore James Fields rispose a una giovane Louisa May Alcott, quando lei gli inviò uno dei suoi primi manoscritti.
Possiamo dire con un certo grado di sicurezza che tutti gli scrittori, anche i più grandi, hanno dovuto, presto o tardi, scollare il naso dalle porte sbattute in faccia.
Celebri esempi sono Melville (il suo “Moby Dick” fu ritenuto di gusto troppo antiquato) e Orwell (T.S. Eliot rifiutò di pubblicare “La fattoria degli animali” perché “troppo politico” e poco ideologicamente coerente).
Una storia che attraversa i secoli e colpisce fatalmente alcuni (Guido Morselli, ahimè, è uno di loro).
Ma è buona attitudine non lasciarsi abbattere dai rifiuti. È importante, sì, tener conto dei commenti e dei consigli ricevuti e magari rimettere mano al testo per aggiustare il tiro; ma è anche essenziale ritentare, perché prima o poi un buon libro verrà notato e accolto.
La storia di Louisa May Alcott ce lo conferma. La scrittrice, anni dopo, congederà definitivamente il signor Fields con questa lettera:
“Tanto tempo fa mi ha prestato quaranta dollari, dicendomi gentilmente che avrei potuto restituirglieli quando fossi stata ‘ricca sfondata’. Poiché inaspettatamente il miracolo è avvenuto, desidero tener fede alla mia parte dell’accordo, e dunque le accludo alla presente il rimborso del mio debito con tanti ringraziamenti”.
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