Se alcuni scrittori necessitano di luce e ampie vetrate per trovare la giusta ispirazione, altri le rifuggono.
Quando si trasferì in un appartamento tutto suo, il giovane Marcel Proust congegnò strani artifici per rendere la sua attività letteraria il più efficiente possibile.
Coprì la sua stanza di scure tende di raso, che a suo dire tenevano a debita distanza i pollini e la polvere che gli scatenavano una brutta asma.
Molto sensibile ai rumori, rivestì le pareti con pannelli di sughero per attutire i suoni dell’esterno e degli altri inquilini (mandava regolarmente educate lettere ai vicini pregandoli di fare piano).
Aveva l’abitudine di scrivere in posizione orizzontale, se non fetale, nel letto, circondato da tavoli di supporto in una stanza ingombra di oggetti di valore quasi esclusivamente sentimentale (era una casa piuttosto singolare e stando a un aneddoto dell’epoca Oscar Wilde non faceva segreto del suo disgusto).
Proust si svegliava tardi, dopo aver scritto fino a notte fonda, e suonava il campanello per chiamare la governante Céleste: doveva portare in camera dello scrittore due tazze, una caffettiera, una caraffa di latte caldo e un croissant acquistato ogni giorno allo stesso forno.
Estremamente freddoloso (forse anche a causa della misera dieta), lo scrittore indossava strati e strati di maglioni di lana, e si circondava di borse dell’acqua calda.
Céleste intanto aspettava uno scampanellìo: a quel punto Proust era pronto per un altro croissant.
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