C’è una condizione essenziale che sottende ogni aspirante scrittore: la solitudine.
Chi scrive è spesso visto come una figura evanescente, chiusa nel suo studio per giorni, inavvicinabile persino dalla famiglia.
Ebbene, questo è uno dei rari stereotipi che raccontano la verità, almeno nella maggior parte dei casi.
Scrivere significa lasciare il mondo fuori dalla porta per immergersi in uno spazio personale, immaginario, uno spazio “altro”. Senza l’isolamento dal mondo, nessun autore o autrice potrebbe completare la propria opera.
“Bisogna essere molto forti per amare la solitudine” diceva Pasolini, e aveva ragione. La solitudine può essere pesante – anche per i più avvezzi alla sua silenziosa compagnia.
Esistono pure illustri letterati che non riuscivano a rinunciare alla socialità – seppure in forma parziale. Charles Dickens, per esempio, amava scrivere quando a casa sua c’erano ospiti: portava al piano di sotto il manoscritto a cui stava lavorando e scriveva in disparte, accompagnato dal vociare di sottofondo.
Isabel Allende di norma scrive da sola nel suo studio, ma non disdegna di rendere partecipe la famiglia del suo processo creativo, chiedendo consiglio di stanza in stanza.
E voi, che rapporto avete con la solitudine?
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