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Ci sono vari modi di suddividere le opere letterarie. Su base quantitativa: racconto, racconto lungo, romanzo breve, romanzo oppure sonetto, poemetto, poema. Su base qualitativa: poesia e prosa. Ai tempi dell’antica Atene c’erano l’epica e la drammaturgia (tragica o comica).
Almeno dai canoni ottocenteschi in poi, i testi in prosa hanno finito per diventare largamente preponderanti. Da quel momento si cominciò a parlare di “narrativa”. Con tale termine si intendeva quasi la totalità della produzione romanzesca o della novellistica. Bisognava invece specificare ulteriormente, qualora si trattasse di un poliziesco, di un romanzo d’amore o d’avventura.
Da un paio di decenni a questa parte la questione si è ribaltata: con l’invasione commerciale dei generi è diventato difficile far capire quando un libro non vada messo né nello scaffale del fantasy né in quello della fantascienza, non appartenendo, più in generale, ad alcuna sottospecie.
Hanno provato a coniare definizioni più o meno soddisfacenti: “narrativa generale”, “narrativa mainstream” o la definizione negativa “narrativa non di genere”. Quella più convincente è “narrativa bianca”: proprio come la bianchezza della luce, che in sé contiene tutti i colori, così fa la narrativa tout court, che contempla tutte quelle derivazioni che saturano l’attuale mercato editoriale. “I promessi sposi”, tanto per fare un esempio, è anche un romance, ma va molto al di là di questo. Lo stesso vale per “Delitto e castigo” e il genere giallo.

(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)

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