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Il personaggio di un romanzo è la trasposizione finzionale di una persona reale, o almeno così si può essere portati a credere, benché il passaggio dalla dimensione concreta a quella fittizia non possa avvenire pedissequamente, ossia riportandone banalmente caratteristiche ed espressioni tipiche. L’arte, al contrario della vita, ha delle regole ben determinate, la cui infrazione andrebbe a discapito del valore estetico del testo.
Neanche il più ostentato verismo ha mai potuto rendere i propri protagonisti senza mediazioni. Ogni scrittore sa bene che la descrizione di un un tipo umano, anche nel caso in cui riprenda un determinato individuo in carne e ossa, non potrà mai essere tale e quale all’originale, ma dovrà passare attraverso il filtro della rappresentazione. L’eccessivo mimetismo ne darebbe un’impressione poco accattivante per il lettore.
Compito dell’autore è sempre quello di rielaborare ciò che racconta secondo precisi canoni, esattamente come fa per ogni aspetto della realtà che intenda trasferire su pagina. Affinché la verità traspaia, paradossalmente, ha bisogno dei giusti artifici. Anche nel caso in cui ci si rifaccia a un personaggio esistente come fece Tolstoj in “Guerra e pace”. Il suo Generale Kutuzov, tanto per fare un esempio, non è la trascrizione fedele del personaggio storico che sconfisse Bonaparte. Diventa anch’egli una creazione dell’autore: agisce, parla, pensa secondo le necessità della narrazione né più né meno del principe Bolkonskij o di Natasha. 

(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)

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