Una celebre puntata del telefilm “Ai confini della realtà” si intitola “Tempo di leggere”. Narra di un bancario diventato fortemente miope a forza di consumare libri. Legge di tutto, è insaziabile, il suo cruccio è di non avere abbastanza tempo per perdersi completamente in quella dimensione parallela che è la lettura, tra doveri lavorativi e famigliari.
Adora i romanzi di avventura in particolare, ama sentirsi spalla a spalla con i Tre Moschettieri o con Huck Finn – d’altronde non è questo l’aspetto più trascinante e fanciullesco della narrativa, di evasione o meno? – eppure ogni volta la moglie o il direttore della filiale dove lavora lo riportano alle noie quotidiane.
Un giorno, il suo superiore lo spedisce nel caveau, dove rimane rinchiuso per un disguido tecnico proprio mentre i russi sganciano la bomba atomica (siamo in piena Guerra Fredda). Quando riesce a uscirne, scopre che l’umanità è stata annichilita dall’esplosione. Tutti tranne lui, protetto all’interno della camera blindata.
Anziché rammaricarsene, viene preso dall’euforia: finalmente potrà leggere quanto vuole, non c’è più nessuno a distoglierlo dalla sua passione principale. Inoltre ha a sua disposizione tutti i libri del mondo. Ma proprio mentre sta esultando, inavvertitamente il paio di occhiali dalle spesse lenti, senza i quali è praticamente cieco, gli cascano, frantumandosi in terra e lasciandolo privo del bene della vista e, di conseguenza, della lettura.
Questo finale ci suona come un monito: leggiamo il più possibile, senza mai rinunciare però a quella vita reale a cui ogni lettura deve sempre fare riferimento, pena: uno sterile isolamento.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più.)
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