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Da un po’ di tempo si parla di “politicamente corretto”, tra sostenitori e detrattori. Ciò ha avuto un certo impatto anche in ambiente letterario.
Per esempio, in America è stata censurata la parola “nigger” dai testi di Mark Twain. Per amore di cronaca, al pari della stragrande maggioranza dei suoi connazionali e contemporanei, inizialmente Twain era in effetti un suprematista bianco. A fargli cambiare idea fu, come non di rado accade, l’amore: si invaghì di una schiava nera e, da allora, cambiò il proprio punto di vista sulle razze umane.
Con un rovesciamento geniale dei tipici ragionamenti antirazzisti, così ebbe modo di pronunciarsi: “Io non domando mai a che razza appartenga un uomo, mi basta sapere che è un essere umano: non potrebbe essere niente di peggio”.
Gli estremisti del “politically correct”, con le loro matite rosse e blu sempre in mano, nella loro foga censoria tendono a ignorare, oltre alle ragioni storiche di certe posizioni ideologiche, le distinzioni, talora non troppo esplicite, tra autori di una stessa epoca.
Dal loro rigido e abbastanza ingenuo punto di vista anche “Il mercante di Venezia” potrebbe passare come un testo antisemita, mentre a un occhio più attento dovrebbe apparire come un’operazione moderna e sofisticatissima, attraverso la quale Shakespeare emancipava l’ebreo dai cliché e accusava tacitamente la società del tempo, dissimulando la difesa del reietto all’interno di un dramma che avrebbe dovuto programmaticamente costituire l’esatto contrario.

(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)

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