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Quando si è più portati a scrivere? Anche qui – come spesso capita nel mondo della scrittura – sembra non esserci una regola. La situazione varia a seconda dell’autore.
C’è chi scrive in preda all’entusiasmo, sulla scorta di un’ispirazione capace di spingerlo a una creatività febbrile equiparabile a un vero e proprio stato di grazia. C’è chi invece usa questa attività come un lenimento o uno sfogo psicologico: tutti abbiamo in mente la descrizione del poeta romantico intento a trasfondere sulla carta, con la penna d’oca in mano appena immersa nel calamaio, i suoi patemi più intimi, traducendoli in versi colmi di malinconia.
Ovviamente il “mood” del momento influirà su quanto si scrive e potrà essere talora funzionale, altre volte controproducente.
Il professionista della scrittura il più delle volte, invece, si mette al lavoro senza essere condizionato da particolari emozioni. Quello è il suo mestiere. Proprio come l’operaio o l’impiegato si recano sul luogo di lavoro senza attendere alcun tipo di condizionamento interiore, ma per il semplice fatto che quello è il loro compito, anche lo scrittore professionista scrive per esigenze lavorative, seguendo uno schema e una tabella di marcia.
Certo, tutto ciò apparirà assai meno suggestivo dell’artista che produce a seconda delle sue gioie o dei suoi struggimenti, ma consente all’autore di porre la giusta distanza tra sé e la materia trattata, senza rischiare eccessivi coinvolgimenti, che potrebbero comprometterne il punto di vista.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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