Ci fu un tempo in cui persone che vivevano distanti mantenevano il loro rapporto amicale o amoroso attraverso una fitta corrispondenza. Ciò appare quasi impensabile al giorno d’oggi, in un periodo in cui quasi tutte le comunicazioni interpersonali si effettuano tramite messaggi caratterizzati dall’urgenza, spediti via mail, per sms o WhatsApp.
Fino a non molti decenni fa, un gran numero di individui amava prendersi del tempo e confezionare lettere eleganti, appassionate e sincere da far recapitare a un destinatario cui volevano sentirsi, almeno idealmente, vicini.
Quando a redigerla era uno scrittore, l’importanza intrinseca della missiva aumentava notevolmente, anche sotto il profilo estetico.
Ecco dunque nascere un genere letterario che può vantare pari dignità rispetto al romanzo, al saggio o ad altre forme libresche: l’epistolario.
Le molte lettere scritte da San Paolo rappresentano un bell’esempio di arte oratoria. La nota grafomania di James Joyce, oltre che nella produzione canonica, si espletò non di meno nei numerosi carteggi che intratteneva con vari membri della sua famiglia, che, riuniti, costituiscono un’opera il cui valore letterario è paragonabile a quello degli altri suoi scritti.
Questo avviene quando lo scrivente si preoccupa che i contenuti delle proprie lettere siano pregevoli oltre che utili.
Da quest’abitudine è nato poi un genere romanzesco vero e proprio, il romanzo epistolare, che vanta capolavori come “I dolori del giovane Werther” o “Dracula”.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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