A pensarci bene, forse James Joyce si ingannava nel momento in cui proclamò la celebre frase “La grammatica deve essere per noi la prima delle scienze”, riferendosi idealmente a tutti i putativi colleghi scrittori.
La grammatica in effetti non è una scienza, bensì una convenzione. Le scienze possiedono un linguaggio universale, che deriva da una realtà che esiste al di là della comunicazione umana e che risponde alle rigorose leggi della fisica e della matematica, mentre le regole grammaticali sono collegate a un particolare idioma, circoscritto in un luogo limitato, vigono in quel dato periodo storico ma sono passibili di cambiamenti a seconda della variabilità storica di usi e forme espressive.
Non è affatto detto che la posizione delle virgole o l’impiego di certi altri segni diacritici rimangano tali per sempre. Tanto per dirne una, l’uso del punto e virgola è quasi completamente sparito in capo a pochi decenni, cosicché ora ci appare superfluo un elemento che seppe aggiungere una studiata incisività a tanti passaggi del Manzoni e di Gadda, per menzionare giusto due dei più grandi autori della nostra letteratura.
Certo, per uno scrittore la conoscenza della grammatica è indispensabile, pur conscio della sua contingenza. Perciò maneggiate gli strumenti fondamentali della lingua in cui scrivete così bene da poter anche scegliere, magari, di sovvertirli per ragioni espressionistiche, proprio come fece Joyce nell’ultimo capitolo dell’“Ulysses”, eliminando completamente la punteggiatura.
(Pensierino della notte: devo scrivere tanto, ogni giorno, e leggere molto di più. Pensierino del giorno: non basta avere ispirazione, creatività e talento: per scrivere bene servono anche disciplina, determinazione e allenamento.)
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