Da bambina mi è stato insegnato che le parolacce non si dicono, né a casa né a scuola. Non si dicono agli amici e neppure ai nemici.
Oggi è evidente che questa regola non vale più, infatti non c’è limite alla volgarità delle parole pronunciate pubblicamente da persone autorevoli.
Che sia un capo di Stato o di governo, che sia laico o religioso, poco cambia: conta la veemenza più del rispetto. Vale l’insulto più della critica.
Perché?
Perché ci considerano bestie ignoranti e volgari, con cui bisogna parlare “a rutti”. Ci considerano rozzi e maleducati: persone con parole e pensieri sguaiati.
Altrimenti non si permetterebbero di esprimersi così.
Vogliamo iniziare a far qualcosa per dimostrare a questi autorevoli personaggi che non siamo (e non parliamo) come loro?