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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG “Donne non facciamolo in Rete”, nata per tutelare le donne dai pericoli del web:
Si chiamavano Gabriela e Renata, vivevano a Castelfranco Emilia, erano madre e figlia.
Purtroppo sono costretta a usare l’imperfetto perché, mentre leggete queste mie parole, Gabriela e Renata non ci sono più.
Uccise dal marito di Gabriela, patrigno di Renata.
Al culmine di una lite, l’ennesima, ha puntato contro di loro un fucile e ha sparato. Ripetutamente.
Poi è entrato in un bar e ha chiamato le forze dell’ordine per denunciare il suo delitto.
Inutili i soccorsi.
I media parlano, genericamente, di femminicidio. Ma la verità è un’altra.
A uccidere queste due donne non è stata solo la brutalità di un uomo che aveva segregato in casa Gabriela, permettendole di uscire solo con lui. A ucciderle ha “contribuito” anche un sistema che non funziona.
A salvarle, non sono bastate le tre denunce di Gabriela per maltrattamenti e stalking.
Anzi, la Procura di Modena aveva chiesto l’archiviazione per la denuncia a carico del marito. Gabriela si era opposta e avrebbe dovuto comparire davanti al Gip per spiegare le sue motivazioni.
Poi, la tragedia.
Alla giustizia il compito di fare luce su questa vicenda. A tutte noi il diritto di essere indignate.
Com’è possibile che una persona palesemente aggressiva e violenta, più volte denunciata, non sia stata fermata prima di compiere un duplice omicidio?
A cosa serve denunciare se poi le leggi sono inefficaci e le forze dell’ordine non possono fare nulla?
No, quello di Gabriela e Renata non è “un altro femminicidio”.
Sono due vite spezzate dal più feroce maschilismo e da una società che volta le spalle alle donne vittime di violenza, pur sostenendo di aiutarle.
(Francesca C.)

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