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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG “Donne non facciamolo in Rete”, nata per tutelare le donne dai pericoli del web.
Una notizia che ho letto in queste settimane mi ha sconvolta.
A Roma un trentenne è stato arrestato per aver abusato ripetutamente della figlia di due anni. È stato scoperto dalla polizia postale perché riprendeva le violenze sulla bambina per poi diffondere i filmati in Rete, vendendoli su siti di pedopornografia.
Per quanto ci si possa sforzare di immaginare l’orrore, è impossibile pensare a un padre che abusi di una bimba di neppure due anni.
Tutti sappiamo dei pericoli che si annidano online, dove molti pensano di poter agire indisturbati, compiendo anche i crimini più odiosi.
È già detestabile pensare ad azioni come il Revenge Porn, quando immagini sessualmente esplicite vengono diffuse a scopo di vendetta da uomini frustrati per essere stati lasciati, o per mostrare le donne come trofei. Ma è impensabile che ci si possa incontrare online su siti illegali per poter scambiare foto o filmati di violenze su bambini.
È un dato accertato che molti di quei pedofili che condividono o comprano immagini di abusi sono stati violentati a loro volta, in giovane età.
Il più delle volte la pedofilia non è una psicopatia innata, è invece un comportamento deviato indotto da un’esperienza fortemente traumatica vissuta nell’infanzia.
A maggior ragione bisogna cercare di combattere a ogni costo queste pratiche aberranti sia nella realtà che online: è il solo modo di interrompere un circolo vizioso per salvare i bambini e per impedire che un soggetto abusato oggi si trasformi in un soggetto abusante in futuro.
Resta una domanda: spesso le vittime di pedopornografia sono talmente piccoli da non sapere ancora parlare e non possono perciò chiedere aiuto. Però i loro corpi e i loro comportamenti mostrano sempre i segni delle violenze.
Perché nessuno se ne accorge?
(Sonia F.)

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