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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG @DonnenonfacciamoloinRete, nata per tutelare le donne e i minori dai pericoli del web.
Pochi mesi fa la squadra maschile di calcio della Danimarca ha rifiutato l’aumento di stipendio proposto dalla federazione, come gesto di solidarietà verso le colleghe che da sempre richiedono ‒ giustamente ‒ un trattamento salariale equo, affinché per calciatori e calciatrici la retribuzione di base per la partecipazione alla nazionale sia la stessa.
L’accordo a cui si è arrivati non è particolarmente originale: l’aumento della copertura assicurativa per la squadra femminile e per la squadra maschile Under 21 sarà finanziato da una diminuzione del 15% della copertura assicurativa della squadra maschile.
È una mossa “difettosa”: l’obiettivo non dovrebbe essere peggiorare le condizioni dei calciatori, ma migliorare quelle delle calciatrici.
La pensa come me anche la squadra femminile, che è contenta e ringrazia i colleghi ma sostiene che i soldi non dovrebbero arrivare da loro, ma dalla federazione. E attende con impazienza nuove trattative.
Ad avere la parità salariale, ottenuta nel 2022, e l’equa distribuzione dei premi Fifa, sono le calciatrici della nazionale statunitense (che prima guadagnavano il 40% in meno rispetto ai colleghi). Anche Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda e Spagna hanno fatto passi in avanti.
L’Italia invece, come sappiamo, è indietro su questo fronte, e non solo in ambito calcistico.
Ho parlato con amici e amiche di questa notizia, e se c’è una cosa che mi fa perdere le staffe ogni volta è che la discussione verta sempre e solo sull’applaudire gli uomini, tanto buoni verso le povere colleghe donne: focalizzarsi insomma sul cerottino con cui si cerca di rattoppare la falla nella diga.
La parità retributiva dovrebbe essere una cosa normale e naturale, da sempre. Non un extra che ci viene concesso per pena, carità o regalo. È un nostro diritto, ricordiamolo.
(Francesca C.)

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