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A un certo punto della mia adolescenza, non ricordo quando, ho preso la pessima abitudine di grattare le pellicine delle dita fino a farle sanguinare. Probabilmente era un modo per attenuare l’ansia nei momenti difficili, un modo che non funzionava e in più mi provocava imbarazzo nel mostrare le mani perché tradivano in modo inequivocabile un carattere ansioso e insicuro. Chiunque, guardandomi, avrebbe capito che non ero spaccona e tracotante come cercavo di sembrare snocciolando parole argute e commenti fulminanti, e perciò nascondevo le mani slabbrando a dismisura l’orlo di maglioni e magliette.
Con le maniche che penzolavano allegramente nel vuoto, me ne andavo in giro per il mondo convinta di darla a bere a qualcuno o quantomeno di passare inosservata. Finché non ho incontrato un uomo a cui piacevo molto e che mi piaceva un pochetto, che mi riempiva di complimenti e attenzioni, che mi considerava la donna più attraente del mondo, fatta eccezione per le mani. In un momento di sincera dolcezza, mi chiese sbalordito come potesse una donna intelligente e seducente avere delle mani “così imbarazzanti”. E in quel momento di sincera dolcezza ho capito due cose: che è profondamente sbagliato e ingiusto provare a nascondere quello che non ci piace di noi stessi, e che lui era un perfetto cretino, se si sentiva imbarazzato per così poco.
Rimosso il cretino e i maglioni slabbrati dalla mia vita, ho dovuto fare i conti con me stessa: con ciò che ero e con l’idea che avevo di me, che non combaciavano se non per poche, ottimistiche sfumature; ho dovuto sottrarre aspettative e ambizioni troppo alte e talvolta infantili; ho dovuto sommare ai difetti e alle mancanze caratteriali l’amore, la cura e la simpatia che chiunque deve provare per se stesso e che, ancora oggi, io provo per me. Si impara a volersi bene, si impara ad avere rispetto per sé e a pretenderlo dagli altri: qualunque siano i nostri difetti, serve solo tempo e amore.
Oggi come ieri, mi difendo in ogni modo da chiunque pretenda che io sia perfetta, me compresa. Perché dietro ogni richiesta di “perfezione” c’è sempre qualcuno o qualcosa che vorrebbe farti sentire in colpa e giudicarti.

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