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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG @DonnenonfacciamoloinRete, nata per tutelare le donne e i minori dai pericoli del web.
Un’indagine presentata al Parlamento britannico racconta il “trauma della nascita” e la violenza ostetrica che molte neomamme subiscono ancora oggi.
Appena ho letto la notizia, ho pensato alla mia migliore amica, che quando ha chiesto l’epidurale si è sentita rispondere: “Partorire senza dolore? Ma che madre saresti?”.
Il parto è di per sé doloroso, vero, ma non deve essere per forza un trauma.
L’indagine include i resoconti di 1311 donne su alcuni aspetti importanti: sollievo dal dolore negato, igiene a livelli medievali, carenza di personale e lesioni permanenti a loro e ai bambini (come parti prematuri, o paralisi cerebrali legate alla mancanza di ossigeno durante il travaglio) causate da errori che sono stati successivamente negati.
Oltre a urla, derisione, negligenza, mancate risposte alle richieste di aiuto o di informazioni su quello che stava accadendo.
La parola “terrorizzata” appare in 266 dichiarazioni, ma anche parole come “vergogna”, “umiliazione” e “imbarazzo” sono frequenti. La parola “rotta” (“broken”) appare in 328 contributi.
“Le donne hanno raccontato di essere state lasciate dentro lenzuola macchiate di sangue, o di aver suonato il campanello per chiedere aiuto senza che arrivasse nessuno.”
Il rapporto include anche le testimonianze di almeno 100 professionisti della maternità che descrivono un sistema sovraccarico e con carenza cronica di personale.
In Italia la situazione non è diversa: donne che subiscono mancanza di empatia e violenza gratuita del personale medico, e ostetriche che si sentono a disagio e impotenti di fronte ai superiori.
Questa è la situazione, drammatica soprattutto perché impregnata di una forma di omertà sedimentata nel tempo. Gli ospedali spesso ne sono al corrente, ma coprono tutto.
L’unica soluzione è rompere il silenzio: se subiamo violenza ostetrica, chiediamo di essere seguite da un’altra persona durante il parto e denunciamo alle autorità.
Facciamolo anche per quelle di noi che non se la sentono di denunciare.
(Sonia F.)

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