Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG @DonnenonfacciamoloinRete, nata per tutelare le donne e i minori dai pericoli del web.
Nell’ultimo mese mi è capitato spesso di ripensare alle Olimpiadi di agosto.
Quella del 2024 è stata la prima edizione a raggiungere la parità di presenze tra atlete e atleti. Ironico, considerato quanto il doppio standard e la misoginia abbiano dilagato durante i giochi.
Si sa, lo sport è uno dei tanti ambiti in cui gli uomini l’hanno sempre fatta da padrone, e anche se le cose per le atlete vanno meglio, non si può certo dire che vadano bene.
Già a luglio i media italiani avevano dedicato pochissimo spazio alla vittoria di Elisa Longo Borghini al Giro d’Italia.
Pensate che un uomo avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? Pensateci ancora, e ricorderete forse di aver sentito i nomi di Marco Pantani o Vincenzo Nibali per giorni, dopo le loro storiche vittorie.
Le Olimpiadi, poi, hanno amplificato la voce misogina del mondo.
Oltraggioso il caso di Imane Khelif, bullizzata e discriminata solo per il suo essere una donna forte (e non bianca). O quello delle spadaccine che nei titoli delle testate italiane non erano degne nemmeno di avere nome e cognome (però ricordare che una era mamma, quello sì, era importante).
Uno degli eventi di punta delle Olimpiadi, la finale di corsa dei 100 metri maschile è stato uno show di luci e colori e fibrillazione, una presentazione quasi cinematografica degli atleti in gara.
Tutto bene se non fosse che solo il giorno precedente c’era stata la stessa identica gara, in versione femminile, e fanfare e colori zero.
La vita delle atlete – che per i media sono ancora oggi prima di tutto mamme, figlie, mogli, e i cui corpi e questioni private vengono messi sotto una lente di ingrandimento – non è la vita dei loro pari maschi, che continuano a guadagnare più delle colleghe e hanno un accesso allo sport libero dalle barriere del sessismo a frenarne la professionalizzazione.
E allora, di quella piena parità di genere tanto sbandierata, che ce ne facciamo?
(Francesca C.)