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Come ogni domenica, vi presentiamo un brano tratto dalla nostra pagina FB e IG @DonnenonfacciamoloinRete, nata per tutelare le donne e i minori dai pericoli del web.
Negli Stati Uniti c’è fermento per l’arresto di Diddy, uno dei produttori musicali più influenti del Paese.
Sono trent’anni che Sean Combs, in arte Diddy o Puff Daddy, riesce a sottrarsi alla giustizia nonostante le denunce (il potere dei soldi!).
A settembre è stato finalmente arrestato con le gravissime accuse di tratta di esseri umani e racket: l’uomo, a capo di un’organizzazione criminale, avrebbe compiuto rapimenti, incendi e minacce per abusare sessualmente di diverse donne.
Noto per organizzare fastosi party a cui accorrevano le più grandi star del mondo, Diddy avrebbe trasformato le sue feste in orge violente in cui le persone venivano drogate, stuprate e filmate, e costrette al silenzio sotto minaccia.
In Rete stanno circolando liste di personaggi noti che frequentavano abitualmente le feste dell’uomo: i legami con Diddy ora potrebbero infangare la reputazione di tante celebrità, soprattutto in caso di accertata complicità o connivenza.
Non è la prima volta che Diddy viene accusato di violenze. Negli anni sono saltate fuori vicende orribili di pedofilia e di donne e uomini drogati, stuprati, malmenati. Non ultima la sua ex Cassie Ventura: forse vi ricorderete di un video, che circolò tantissimo, in cui l’uomo la picchia brutalmente nei corridoi di un hotel.
Ventura ha dichiarato in tribunale che Diddy era solito picchiarla, stuprarla e costringerla a fare sesso con altri uomini allo scopo di riprendere le violenze in video. Quel processo si concluse con un accordo riservato tra le parti.
Stavolta, però, niente rilascio su cauzione, perché secondo i pubblici ministeri Diddy avrebbe tutti gli strumenti per far perdere le sue tracce, e data la sua predisposizione alla violenza il rilascio non è una strada percorribile.
Intanto le vittime di Diddy continuano a farsi sentire sempre più numerose, e se condannato rischia almeno 15 anni di carcere.
Negli Stati Uniti si parla già di un MeToo dell’industria musicale.
Sarà la volta buona per mettere la parola fine dopo decenni di impunità?
(Stefania S.)

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