Questo fine settimana mi sono svegliata stanca. Colpa dei primi caldi o del ciclo in arrivo, chissà.
Uno di quei sabati che scendi dal letto, ti trascini sul divano e ti pare di aver scalato una montagna. Accendo il computer e mi lascio cullare, senza forze né pensieri. Un video qui, una notizia là. Poi qualcosa mi fa trasalire: un articolo sulle damine dell’Ottocento. E sui loro meravigliosi abiti, soffici e ondeggianti. E sul busto necessario per indossarli. Cosa?! Tanto stretto da deformare gli organi e incrinare le costole. Perché solo così, con una vita di 40 centimetri, le ragazze acquistavano – cosa?! – valore di mercato. Cioè avevano l’onore di essere scelte come mogli.
Indignata, chiudo il laptop con una sberla. Sono una donna di questi tempi e intendo goderne fino in fondo. Quindi, nell’ordine: vado in palestra, che magari lui stasera mi invita a mangiare la pizza. E faccio anche un salto al supermercato, che ho finito la tisana drenante. Però mi metto almeno un paio di jeans decenti, che magari per strada incontro qualcuno che conosco, e sai che figura se mi vede in tuta, penserà che sono sciatta. Gli unici jeans decenti sono attillatissimi, ma ho la pancia gonfia e giuro che non respiro.
Torno a casa e lo chiamo, vedo come reagisce se gli propongo una passeggiata invece della solita cena, che oggi proprio non ce la faccio, o forse è meglio di no, magari pensa che sono una di quelle che di sabato sera non fanno mai niente.
Riaggancio. Ho capito che si aspetta una serata romantica, quindi mi depilo. Mi metto un paio di scarpe col tacco, esco e mangio la pizza pensando che domani, che fatica, dovrò tornare in palestra per smaltire i carboidrati.
Sono sfinita, quando mi accoccolo di nuovo sul divano. Sento il corpo che mi ringrazia grato.
È ciò che mi ha chiesto per tutto il giorno, ma non l’ho ascoltato. Sul computer le stesse parole della mattina lampeggiano in una luce diversa. Sono felice per ogni singolo diritto che le donne hanno conquistato.
E sono triste per quell’impulso insano che troppe volte mi costringe a comportarmi come – presumo – un uomo mi vorrebbe. Ma quando imparo?
Uno di quei sabati che scendi dal letto, ti trascini sul divano e ti pare di aver scalato una montagna. Accendo il computer e mi lascio cullare, senza forze né pensieri. Un video qui, una notizia là. Poi qualcosa mi fa trasalire: un articolo sulle damine dell’Ottocento. E sui loro meravigliosi abiti, soffici e ondeggianti. E sul busto necessario per indossarli. Cosa?! Tanto stretto da deformare gli organi e incrinare le costole. Perché solo così, con una vita di 40 centimetri, le ragazze acquistavano – cosa?! – valore di mercato. Cioè avevano l’onore di essere scelte come mogli.
Indignata, chiudo il laptop con una sberla. Sono una donna di questi tempi e intendo goderne fino in fondo. Quindi, nell’ordine: vado in palestra, che magari lui stasera mi invita a mangiare la pizza. E faccio anche un salto al supermercato, che ho finito la tisana drenante. Però mi metto almeno un paio di jeans decenti, che magari per strada incontro qualcuno che conosco, e sai che figura se mi vede in tuta, penserà che sono sciatta. Gli unici jeans decenti sono attillatissimi, ma ho la pancia gonfia e giuro che non respiro.
Torno a casa e lo chiamo, vedo come reagisce se gli propongo una passeggiata invece della solita cena, che oggi proprio non ce la faccio, o forse è meglio di no, magari pensa che sono una di quelle che di sabato sera non fanno mai niente.
Riaggancio. Ho capito che si aspetta una serata romantica, quindi mi depilo. Mi metto un paio di scarpe col tacco, esco e mangio la pizza pensando che domani, che fatica, dovrò tornare in palestra per smaltire i carboidrati.
Sono sfinita, quando mi accoccolo di nuovo sul divano. Sento il corpo che mi ringrazia grato.
È ciò che mi ha chiesto per tutto il giorno, ma non l’ho ascoltato. Sul computer le stesse parole della mattina lampeggiano in una luce diversa. Sono felice per ogni singolo diritto che le donne hanno conquistato.
E sono triste per quell’impulso insano che troppe volte mi costringe a comportarmi come – presumo – un uomo mi vorrebbe. Ma quando imparo?