“Femminismo” è una parola che da ragazzina mi attraeva e mi respingeva. Mi stava stretto l’insieme “donne”, quando io mi sentivo un pezzo unico.
Poi, col tempo, ho capito che la mia unicità cominciava proprio da quella prima differenza femmina/maschio che segna un corpo, proprio come l’incipit segna in modo decisivo un racconto, e tuttavia è solo l’inizio di una storia. Perché ci si può smarcare dai destini già scritti, come le ragazze di ogni tempo che hanno preso su e sono partite per vivere diversamente dalle madri e dalle nonne; tranne poi scoprire – più in là, con gli anni – che anche le madri o le nonne, quando avevano aderito alle “regole”, lo avevano fatto con adattamenti e resistenze, tentando versioni “originali” e personali dell’essere donna.
E allora quella storia di femmine la riconosciamo, pur con tutte le differenze e le versioni che contiene, come una storia continua che ci comprende.
A dire grazie, poi, si impara col tempo, quando si scopre che quasi ogni cosa che “posso”, qui e ora, è frutto di un’ininterrotta staffetta tra le generazioni, una fiaccola che passa di mano femmina in mano femmina, con rari compagni di viaggio a fare il tifo.
Oggi si chiamano “diritti” forse perché sono scritti al termine di un’infinita serie di “rovesci”: censure, cancellamenti, roghi, carceri, discussioni, mediazioni, botte reali e ideali, rifiuti, esili, ostacoli… Il diritto di essere se stesse e di scegliere come vivere ha un prezzo enorme, qualche volta fatale.
Perché se posso scrivere e firmare con il mio nome, studiare all’università senza travestirmi da uomo, lavorare, divorziare, scegliere di non avere figli, di non sposarmi, girare in shorts e andare a seno nudo e vivere sola, e lavorare e votare; se posso amare un uomo o una donna, essere giudice, medichessa, magistrata, architetta o cantante; “se posso” e conosco com’è andata questa storia mi scoprirò una femminista convinta, e urlerò “grazie!” a tante tante donne di ogni tempo, che reggono fra le mani la fontana della mia singola felicità, capace di dare alla mia gioia di vivere, e a quella delle mie amiche, sorelle, figlie, nipoti, l’energia, il coraggio e la forza per provarci.
Poi, col tempo, ho capito che la mia unicità cominciava proprio da quella prima differenza femmina/maschio che segna un corpo, proprio come l’incipit segna in modo decisivo un racconto, e tuttavia è solo l’inizio di una storia. Perché ci si può smarcare dai destini già scritti, come le ragazze di ogni tempo che hanno preso su e sono partite per vivere diversamente dalle madri e dalle nonne; tranne poi scoprire – più in là, con gli anni – che anche le madri o le nonne, quando avevano aderito alle “regole”, lo avevano fatto con adattamenti e resistenze, tentando versioni “originali” e personali dell’essere donna.
E allora quella storia di femmine la riconosciamo, pur con tutte le differenze e le versioni che contiene, come una storia continua che ci comprende.
A dire grazie, poi, si impara col tempo, quando si scopre che quasi ogni cosa che “posso”, qui e ora, è frutto di un’ininterrotta staffetta tra le generazioni, una fiaccola che passa di mano femmina in mano femmina, con rari compagni di viaggio a fare il tifo.
Oggi si chiamano “diritti” forse perché sono scritti al termine di un’infinita serie di “rovesci”: censure, cancellamenti, roghi, carceri, discussioni, mediazioni, botte reali e ideali, rifiuti, esili, ostacoli… Il diritto di essere se stesse e di scegliere come vivere ha un prezzo enorme, qualche volta fatale.
Perché se posso scrivere e firmare con il mio nome, studiare all’università senza travestirmi da uomo, lavorare, divorziare, scegliere di non avere figli, di non sposarmi, girare in shorts e andare a seno nudo e vivere sola, e lavorare e votare; se posso amare un uomo o una donna, essere giudice, medichessa, magistrata, architetta o cantante; “se posso” e conosco com’è andata questa storia mi scoprirò una femminista convinta, e urlerò “grazie!” a tante tante donne di ogni tempo, che reggono fra le mani la fontana della mia singola felicità, capace di dare alla mia gioia di vivere, e a quella delle mie amiche, sorelle, figlie, nipoti, l’energia, il coraggio e la forza per provarci.