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#donnecomenoi

 

Quanto mi piace, al mattino, disporre sul vassoio le mie due tazze preferite, lucenti di porcellana e filo d’oro, né piccole né grandi, con accanto un bicchiere d’acqua limpida; mentre aspetto che il caffè compia il suo passaggio per intero, cerco sul balcone qualche fiore con cui adornare questa “offerta”.
È vero, mi muovo con la sollecitudine della rondine che svolazza dal nido al cielo, e sembra felice di preoccuparsi per chi ama.
Sono i primi giorni dell’amore, ogni istante fra noi sembra solenne e denso, il tempo in comune un ininterrotto e reciproco donarsi fatto di piccoli gesti, confidenze, punti di domanda in attesa.
Passano poche settimane, e l’Amore in questione cresce, assume tratti più disinvolti, un’andatura più sicura. Mattino dopo mattino, però, mi sembra più difficile reinventare quel gesto, farlo sgorgare con naturalezza. Che stia diventando un’abitudine?
Succede qualcosa: il mio amato quell’offerta se l’aspetta; ci si è abituato fino a considerarla una gentilezza dovuta, e quindi, in un certo senso, la pretende.
Non saprei dire come sia potuto accadere, so soltanto che la magia, così come era venuta, sfuma. A furia di gesti, e di richieste dette o non dette, pretese o eluse.
Assecondare il desiderio altrui, in questa fase, può veramente essere fatale: non solo perché il mio estro non ama le routine e nemmeno le prescrizioni, ma soprattutto perché in quel sistema di attese si annida l’elogio dell’obbedienza: una virtù infida, anzi un vizio, dal quale non ci si libera mai per gradi.
Fra “sì” e “no” non esiste una terza via.
Hanno allevato generazioni di femmine nel convincimento che la sottomissione sia il segreto di un’unione felice; io dico invece che il sacrificio non rafforza l’Amore, lo seppellisce. Amen.
(Giovanna B.)

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