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La madre di una compagna di scuola di mia figlia è una donna bella, quel genere di donna bella che sa camminare sui tacchi senza scomporsi, che ha piedi e mani perfetti, unghie laccate, grandi occhi bistrati. Veste con eleganza e qualche audacia.
Un po’ la detesto, un po’ la invidio. Mi sembra studiata dalla testa ai piedi, sempre in posa, ma è oggettivamente adorabile. Perciò la domanda cruciale è: come si fa a diventare così “donna”? Come potrei diventare così, io che mi lascio stravolgere dalla stanchezza e mi butto sul letto vestita, quando non mi addormento sul divano senza neanche lavarmi i denti?
Ed è un aspetto di cui certamente non vado fiera, ma è più forte di me. Non sono una donna “aggraziata”. Non sono femminile.
E poi una mattina ci troviamo al bar, io e lei, casualmente da sole, senza le solite mamme che ci circondano davanti alla scuola.
“Ma come sei bella!” dice e sorride.
Ma chi, io? penso imbarazzata. Che mi stia prendendo in giro? Ma sembra seria, e continua: “Stai benissimo… Sembri un fiore selvatico, uno di quei fiori dai colori intensi, irrequieti, che sorgono dalle rocce, hai presente? Nascono proprio dove non te l’aspetti”.
“Ma parli di me?” rispondo balbettando, e mi sento talmente sciocca e scortese nel dirlo che arrossisco ancora di più.
“Sì, certo. Sei una meraviglia, proprio come tua figlia. Si vede sempre quello che pensate, e cosa provate. Avete una luce speciale negli occhi e nel viso.”
E mentre cerco qualcosa di sensato e magari spiritoso da dire per tirarmi fuori da questa sgradevole sensazione di timidezza adolescenziale che mi attanaglia, lei sorride con un sorriso perfetto e mi dà la stoccata finale, quella che mi lascia senza parole: “Sei bella, Lucia, fattene una ragione. Sei bella per chiunque ti guardi.”
E per la prima volta mi sono sentita bellissima e speciale. Poi mi sono ricordata delle mille cose che mi toccava fare prima di pranzo e sono corsa via. Uff, un’altra giornataccia…
(Lucia S.)

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