Mia sorella ha 16 anni, io ne ho 30; ieri sera ce ne stavamo in camera, sdraiate, e mi ha confidato di aver fatto l’amore per la prima volta questa estate, su una spiaggia, sotto la luna piena. Arrossendo ed esitando, nonostante i modi bruschi e sette piercing sparsi sulla sua caparbia persona, mi ha rivelato che la storia dura ancora, sebbene a distanza. “Chissà…” ci siamo dette.
E mica ci credeva, anzi rideva di gusto, quando le ho raccontato che nostra nonna si era sposata “per forza”, con un matrimonio riparatore perché aveva “perso la verginità”.
E non credeva neppure che esistesse una vecchia usanza per cui alcune donne dovevano “dimostrare” con un lenzuolo appeso dal balcone che l’avvenuta deflorazione fosse opera indiscussa del neosposo.
La mia sorellina mi guardava esterrefatta quando le ho raccontato di una vecchia zia rimasta incinta che era andata a partorire in città, abbandonando il neonato in un convitto, perché in paese sarebbe stata preda di uno stalking ininterrotto da parte dei maschi predatori e di critiche infinite dalle “irreprensibili” donne della comunità. O di come, ancora negli anni Sessanta, la proposta del sesso venisse avanzata non come invito a godere insieme delle delizie del corpo, ma come “prova d’amore”: quante donne hanno “soddisfatto” il proprio marito per l’obbligo del coniugio?
Fatti dell’altro ieri, certo, ma che spiegano come il controllo delle persone spesso passa dal desiderio e dal dominio sui corpi, soprattutto per le donne. È vero, sono cambiate tante cose, ma forse l’eco di quei ricatti e di quelle umiliazioni vive ancora da qualche parte nel corpo, al punto da far pensare a tanti ragazzi e uomini che sia consentito, e sia efficace, utilizzare immagini e filmati che ritraggono momenti di intimità come arma di offesa e di vendetta nella gogna contemporanea del web e delle chat.
Tenere le donne a testa bassa, minacciarle, farle sentire in colpa per i propri desideri e sentimenti, per la propria indipendenza – economica e mentale – è una pratica ancora molto diffusa, anche se con modalità più subdole e sotterranee rispetto al passato.
Non dimentichiamolo mai.
(Francesca C.)
E mica ci credeva, anzi rideva di gusto, quando le ho raccontato che nostra nonna si era sposata “per forza”, con un matrimonio riparatore perché aveva “perso la verginità”.
E non credeva neppure che esistesse una vecchia usanza per cui alcune donne dovevano “dimostrare” con un lenzuolo appeso dal balcone che l’avvenuta deflorazione fosse opera indiscussa del neosposo.
La mia sorellina mi guardava esterrefatta quando le ho raccontato di una vecchia zia rimasta incinta che era andata a partorire in città, abbandonando il neonato in un convitto, perché in paese sarebbe stata preda di uno stalking ininterrotto da parte dei maschi predatori e di critiche infinite dalle “irreprensibili” donne della comunità. O di come, ancora negli anni Sessanta, la proposta del sesso venisse avanzata non come invito a godere insieme delle delizie del corpo, ma come “prova d’amore”: quante donne hanno “soddisfatto” il proprio marito per l’obbligo del coniugio?
Fatti dell’altro ieri, certo, ma che spiegano come il controllo delle persone spesso passa dal desiderio e dal dominio sui corpi, soprattutto per le donne. È vero, sono cambiate tante cose, ma forse l’eco di quei ricatti e di quelle umiliazioni vive ancora da qualche parte nel corpo, al punto da far pensare a tanti ragazzi e uomini che sia consentito, e sia efficace, utilizzare immagini e filmati che ritraggono momenti di intimità come arma di offesa e di vendetta nella gogna contemporanea del web e delle chat.
Tenere le donne a testa bassa, minacciarle, farle sentire in colpa per i propri desideri e sentimenti, per la propria indipendenza – economica e mentale – è una pratica ancora molto diffusa, anche se con modalità più subdole e sotterranee rispetto al passato.
Non dimentichiamolo mai.
(Francesca C.)
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