Lo hai visto anche tu “The Undoing”? C’è qualcosa che rende questa miniserie una piccola, preziosa gemma, capace di insidiarsi nel cuore e porre nel tempo domande scomode…
Una famiglia perfetta upperclass newyorkese – lei psicologa, lui oncologo pediatrico e un figlio adolescente adorabile – viene travolta da un omicidio, il cui principale imputato è sin dal primo episodio il fascinoso e cordiale marito (Hugh Grant, mai così bravo).
Nei cinque episodi successivi, dunque, l’unico vero tema è la ricerca della verità e l’emergere di quelle verità intermedie, i non detti e gli atti mancati che sembrano essere la trama principale dell’esistenza e che inducono lo spettatore a rivolgere i suoi sospetti ora su uno, ora sull’altro personaggio. Perché tutti mentono, ma non ci sono morali facili da spendere: ciascuno aveva buone ragioni e alibi per non dire o non fare quello che non ha detto o fatto.
Il personaggio interpretato da Nicole Kidman è il cuore di questo racconto. Grace è una psicologa esperta e acclamata, eppure non ha capito nulla di ciò che stava accadendo intorno a lei; la sua bellezza ha qualcosa di artificiale e di rigido per via di quei continui ritocchi che la Kidman si ostina a fare da vent’anni in qua (come vorrei vederla nel suo splendore di 50enne ancora padrona di tante espressioni perse per sempre nel botulino), e tuttavia perfetti per dare al suo personaggio le sembianze di una bambola in procinto di rompersi – con bellissime inquadrature dei suoi occhi così cristallini e fragili come come cristallo, appunto.
Che la vita quotidiana e la famiglia siano quasi sempre “psicopatologiche” ce lo ha insegnato da oltre cent’anni il dottor Freud, tuttavia sembriamo sempre pronte a prendere per veri i nostri desideri, il sogno d’amore, la vita smagliante e favolosa di cui vorremmo essere protagoniste. Fantasie belle, ma pericolose. Perché la verità esiste – ed è la grande lezione di questa piccola, pregiata opera d’arte – e a un certo punto va detta, e cercata, perché altrimenti è molto probabile che tutta la vita cada a pezzi.
(Maria B.)
Una famiglia perfetta upperclass newyorkese – lei psicologa, lui oncologo pediatrico e un figlio adolescente adorabile – viene travolta da un omicidio, il cui principale imputato è sin dal primo episodio il fascinoso e cordiale marito (Hugh Grant, mai così bravo).
Nei cinque episodi successivi, dunque, l’unico vero tema è la ricerca della verità e l’emergere di quelle verità intermedie, i non detti e gli atti mancati che sembrano essere la trama principale dell’esistenza e che inducono lo spettatore a rivolgere i suoi sospetti ora su uno, ora sull’altro personaggio. Perché tutti mentono, ma non ci sono morali facili da spendere: ciascuno aveva buone ragioni e alibi per non dire o non fare quello che non ha detto o fatto.
Il personaggio interpretato da Nicole Kidman è il cuore di questo racconto. Grace è una psicologa esperta e acclamata, eppure non ha capito nulla di ciò che stava accadendo intorno a lei; la sua bellezza ha qualcosa di artificiale e di rigido per via di quei continui ritocchi che la Kidman si ostina a fare da vent’anni in qua (come vorrei vederla nel suo splendore di 50enne ancora padrona di tante espressioni perse per sempre nel botulino), e tuttavia perfetti per dare al suo personaggio le sembianze di una bambola in procinto di rompersi – con bellissime inquadrature dei suoi occhi così cristallini e fragili come come cristallo, appunto.
Che la vita quotidiana e la famiglia siano quasi sempre “psicopatologiche” ce lo ha insegnato da oltre cent’anni il dottor Freud, tuttavia sembriamo sempre pronte a prendere per veri i nostri desideri, il sogno d’amore, la vita smagliante e favolosa di cui vorremmo essere protagoniste. Fantasie belle, ma pericolose. Perché la verità esiste – ed è la grande lezione di questa piccola, pregiata opera d’arte – e a un certo punto va detta, e cercata, perché altrimenti è molto probabile che tutta la vita cada a pezzi.
(Maria B.)