Eccola qui Kate futura regina, con i suoi vestitini, le sue scarpe abbinate, il sorriso in favore di fotocamere, pronta a infilare nel ruolo tutta la sua esistenza.
La guardo fra le pagine del rotocalco che non manca mai sul tavolino del salotto di mia zia Luisa. Mi ricorda qualcuno la principessa, sì, ma chi?
Mentre di là la mia zia preferita armeggia con il caffè – con la radio sempre accesa – ripongo la rivista e curioso fra le foto di famiglia, lucidate e incorniciate. Ma certo, ecco chi mi ricorda: la Barbie!
Eh sì, in un vecchissimo scatto siamo io e mia sorella, bambine, con in grembo Lei, la bambola preferita, la donna perfetta: sorriso, capelli, vestito tale e quale a Kate, futura regina. Ma poi, tra le cornici, ne spunta un’altra, austera e luminosa: Mina, Milva e Ornella Vanoni, le dee della musica italiana di cui mia zia conserva gelosamente tre fotografie firmate, con dedica.
Rappresentano qualcosa d’importante per lei: maestre di arte e libertà, capaci di raccontare storie che non erano mai felici né facili.
Milva se ne è andata quasi di soppiatto, in controcanto rispetto a quei modi spavaldi, quel fuoco acceso dei capelli che sventolava come una bandiera. Ho riascoltato la canzone che le dedicò Enzo Jannacci, “La Rossa”, ed è un vero e proprio monumento: ci sono la bellezza dei vent’anni, l’orgoglio, la semplicità della persona e la grandezza dell’artista, i bigodini e il trucco sovraccarico, la gola stretta dalla paura, il pallore dell’emozione, la nostalgia.
Affiderei nelle mani di queste tre cantanti una scuola di libertà per ragazze: la loro voce è corpo e anima insieme, un’arte del raccontare che è soprattutto arte di trarre il meglio da ciò che si è, senza sconti, senza infingimenti.
Nessun modello da imitare, nessuna principessina da emulare malamente.
Pathos al posto di vestitini, voci al posto di pose, donne uniche al posto di bambole tutte uguali.
(Francesca C.)
La guardo fra le pagine del rotocalco che non manca mai sul tavolino del salotto di mia zia Luisa. Mi ricorda qualcuno la principessa, sì, ma chi?
Mentre di là la mia zia preferita armeggia con il caffè – con la radio sempre accesa – ripongo la rivista e curioso fra le foto di famiglia, lucidate e incorniciate. Ma certo, ecco chi mi ricorda: la Barbie!
Eh sì, in un vecchissimo scatto siamo io e mia sorella, bambine, con in grembo Lei, la bambola preferita, la donna perfetta: sorriso, capelli, vestito tale e quale a Kate, futura regina. Ma poi, tra le cornici, ne spunta un’altra, austera e luminosa: Mina, Milva e Ornella Vanoni, le dee della musica italiana di cui mia zia conserva gelosamente tre fotografie firmate, con dedica.
Rappresentano qualcosa d’importante per lei: maestre di arte e libertà, capaci di raccontare storie che non erano mai felici né facili.
Milva se ne è andata quasi di soppiatto, in controcanto rispetto a quei modi spavaldi, quel fuoco acceso dei capelli che sventolava come una bandiera. Ho riascoltato la canzone che le dedicò Enzo Jannacci, “La Rossa”, ed è un vero e proprio monumento: ci sono la bellezza dei vent’anni, l’orgoglio, la semplicità della persona e la grandezza dell’artista, i bigodini e il trucco sovraccarico, la gola stretta dalla paura, il pallore dell’emozione, la nostalgia.
Affiderei nelle mani di queste tre cantanti una scuola di libertà per ragazze: la loro voce è corpo e anima insieme, un’arte del raccontare che è soprattutto arte di trarre il meglio da ciò che si è, senza sconti, senza infingimenti.
Nessun modello da imitare, nessuna principessina da emulare malamente.
Pathos al posto di vestitini, voci al posto di pose, donne uniche al posto di bambole tutte uguali.
(Francesca C.)
