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Un anno di grandi meriti sportivi per l’Italia. Meriti che non possono farci dimenticare, però, quanto lo sport abbia ancora molta strada da fare, in materia di “inclusività”.
Dalle polemiche per l’incapacità dei calciatori della nazionale italiana di fare un gesto tanto semplice quanto potente quale inginocchiarsi durante l’inno, siamo passati a un florilegio di scandali che hanno tempestato questa stagione olimpica e che si sono concentrati, non a caso, sul corpo delle donne.
Un corpo che, nonostante gli strabilianti meriti atletici delle donne in questione, va sempre scrutinato, controllato, messo sotto la giurisdizione altrui. Perché le atlete prima di essere tali sono donne, e si sa che il corpo femminile appartiene a tutti tranne che alle donne stesse.
Ecco dunque le pallamaniste norvegesi multate per la loro decisione di indossare pantaloncini coprenti, come i loro colleghi uomini, anziché slip minimali.
Ecco anche lo scandalo delle ginnaste tedesche che si sono presentate alle Olimpiadi con una tuta che arriva fino alle caviglie; e infine la lotta delle nuotatrici nere per indossare una cuffia adatta alle capigliature afro.
Dibattiti e prese di posizione che, a partire da una questione apparentemente superficiale quale l’abbigliamento, puntano in realtà a riappropriarsi di un corpo che, con la scusa dei meriti atletici e sportivi, troppo spesso viene messo in secondo piano rispetto a un corpo maschile e bianco.
Quando leggiamo queste notizie, chiediamoci: come mai l’abbigliamento maschile non prevede queste “tenute” così rivelatrici?
Come mai tutti gli accessori sportivi sono pensati per un corpo bianco e non tengono conto delle particolarità dei corpi di colore, come ad esempio i capelli? Se è vero che lo sport può veicolare valori decisamente positivi come l’impegno, la fratellanza, la correttezza e molto altro, è innegabile che ci sia ancora molto lavoro da fare per ricordarci che, sì, esistono anche corpi non bianchi e non maschili.
Corpi che riescono a fare cose meravigliose, a vincere competizioni durissime. E che meritano rispetto.
(Sonia F.)

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