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    “Io sono colui che si vede tuffarsi tra i rovi, non solo colui che si tuffa.”

    “Era la prima volta che mi legavano a un letto, ed è sconvolgente essere legati: farebbe impazzire chiunque.

    È una tortura progressiva: più ti ribelli e ti agiti, maggiore diventa il sopruso e inaccettabile l’ingiustizia. Più aumenta la pressione delle cinghie più ti sembra che le tue ossa si stiano comprimendo fino a schiacciarsi.

    Se invece riesci a mantenerti calmo, se riesci a ignorare le cinghie fingendo di non vederle e non sentirle, se sei in grado di ordinare al tuo corpo di rilassarsi, di divenire molle e accogliente le cinghie per incanto si allentano un poco, si allontanano di un millimetro dal tuo corpo e il miracolo può compiersi: nella tua mente spariscono, dalla tua carne anche.

    Ma per farlo bisognerebbe possedere la lucidità e la perseveranza di Ulisse.

    Io non sono Ulisse, sebbene in quel risveglio non fossi agitato come avrei potuto e dovuto essere, probabilmente grazie ai farmaci che mi avevano iniettato. In fondo, non mi trovavo a Guantánamo, ma nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Paolo di Savona, in Valloria, e dopo un tempo relativamente breve (la percezione di breve cambia considerevolmente se sei quello che lega o che viene legato) mi sciolsero le cinghie, e per ben tre anni nessuno mi legò di nuovo al letto.”

    “Mi piacerebbe avere il dono di una scrittura lieve, che non costi fatica, un semplice fluire di pensieri e di parole dalla mente alla mano, dalla biro al foglio, senza la pretesa di proferire chissà quali verità o di narrare storie mirabolanti.

    Dunque mi ritrovo qui a fare lo slalom tra le parole e i ricordi in questo gioco faticoso e divertente, variante letteraria di un qualche tipo di medicina omeopatica che contribuirà a creare un mio personalissimo segnalibro esistenziale che faccia da contraltare al disturbo bipolare con cui convivo da molti anni.

    Sono qui nudo, ma nudo ancora non basta, sono qui a togliermi lembi di pelle per mostrarmi di più, perché lo faccio?

    Ci sono motivazioni che non conosciamo o non possiedono una ragione esplicita, agiscono al di sotto, non corrispondono alle invenzioni della mente concepite per giustificare quel che facciamo. Sono oltremodo profonde, come immergersi in un’acqua scura con gli occhi bene aperti per cercare di vedere qualcosa, o al mattino, aggrappati a scampoli di sogni, tentare di decifrare sciarade d’inconscio.”

    L'autore

    Paolo Bogliacino è nato a Cengio, in provincia di Savona, nel 1967. Ha un figlio e una ex moglie e lavora da più di trent’anni come montatore di mobili.

    Nel 2011 gli è stata diagnosticata la sindrome bipolare di tipo I, causa di sei ricoveri psichiatrici e tre TSO.

    Oggi vive tra Carcare, in Val Bormida, e Castelletto Uzzone, il paese in provincia di Cuneo in cui sono nati i suoi genitori.

    Dal 2022 è counselor e studia psicologia.

    Io sono bipolare è il suo primo romanzo.