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C’è un uomo, detenuto nel carcere romano di Regina Coeli, che dorme indisturbato da giugno scorso, senza mai aver aperto gli occhi, essersi nutrito autonomamente o aver espletato alcun tipo di funzione corporale al di fuori di questo sonno ininterrotto.
Nessuno, tra amministrazione carceraria e medici specialisti, sa trovare una spiegazione per questa prolungata catalessia.
Si tratta di un ragazzo di 28 anni proveniente dal Pakistan, in attesa di giudizio. Viste le sue condizioni, fa i suoi bisogni grazie a un catetere o a dei pannoloni, viene alimentato con cibi liquidi che deglutisce meccanicamente o attraverso delle fleboclisi, viene accompagnato alle udienze su una barella, su cui rimane sdraiato per tutto il tempo a occhi chiusi.
C’è chi sostiene tra il personale della casa circondariale che il ragazzo semplicemente simuli uno stato di sonno permanente, non essendo stata trovata alcuna ragione fisiologica o patologia che giustifichi un simile comportamento. Comunque appare oltre i limiti umani la possibilità di fingere di dormire da così tanto tempo.
Non potendo conoscere con sicurezza le vere cause, verrebbe quasi da pensare che si possa trattare di una qualche forma di fachirismo, pratica ascetica originaria proprio di quella parte di mondo da cui il dormiente proviene. È come se il corpo e la mente del 28enne rifiutassero la permanenza in un luogo di privazione, spesso resa ancor peggiore dalle mancanze strutturali e infrastrutturali, come accade a molte carceri italiane.
Il sonno, da questo punto di vista, sarebbe un rifugio, un metodo di preservazione psicologica.
Di sicuro rappresenta la forma di evasione più immediata, la cui riuscita, anziché richiedere enormi dispendi energetici, al contrario li annulla.

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