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Questo è un caso giuridico che ci auguriamo possa fare scuola e diventare non un’eccezione ma la giusta regola.
Le premesse purtroppo sono simili a quelle di molte altre storie: una donna trova il coraggio di denunciare il marito che la picchia e abusa di lei da anni. Successivamente, forse spaventata dalla reazione del consorte e dalla nascita del loro secondogenito, decide di ritirare la denuncia.
Il più delle volte questo equivale alla brusca interruzione delle indagini e alla ripresa degli abusi privati che continuano fino a sfociare troppo spesso negli esiti più tragici.
Stavolta però non è andata così.
La donna, residente nella provincia di Bologna, aveva chiamato le forze dell’ordine dopo essere stata picchiata brutalmente dal marito, e infatti i carabinieri intervenuti nella sua abitazione l’avevano trovata in lacrime e sanguinante.
E forse proprio l’immagine di questa donna gravemente abusata ha indotto gli organi inquirenti, contrariamente alla prassi, a proseguire d’ufficio le indagini, nonostante la donna avesse ritirato la denuncia per maltrattamenti.
È emerso che le sevizie proseguivano da molti anni, scatenate inizialmente dal licenziamento del marito e da un’assunzione massiccia di droghe. L’uomo era solito picchiare la moglie anche di fronte al primo figlio e obbligarla ad atti sessuali.
A seguito degli accertamenti, il marito è stato processato, giudicato colpevole e condannato a una pena complessiva di 3 anni e 4 mesi.
Questa sentenza, e l’intero iter che l’ha preceduta, fa ben sperare per tutte quelle vittime di abusi che, per timore o illudendosi che le violenze possano cessare spontaneamente, rinunciano all’assistenza di chi potrebbe aiutarle e non denunciano, oppure ritirano le denunce già presentate.
Crediamo che in casi simili una tutela imposta dall’esterno possa facilitare anche il percorso delle donne più titubanti e impaurite.

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