Sembra evidente ormai quanto il tema delle risorse energetiche sia destinato a dominare le politiche attuali come quelle di un prossimo futuro.
A renderlo sempre più urgente sono i repentini cambiamenti climatici, in buona parte causati dal surriscaldamento conseguente a un impiego scriteriato dei combustibili fossili e, per altro verso, l’invasione russa in Ucraina, anche motivata dall’intenzione di impadronirsi delle riserve di gas locali, sempre più preziose, e delle centrali nucleari lì presenti.
Un’azione di guerra peraltro finanziata in gran parte proprio dalle ingenti somme con cui per anni l’UE ha pagato i miliardi di metri cubi di gas naturale importato attraverso i gasdotti russi.
Un serio incremento della produzione di energie rinnovabili scongiurerebbe la dipendenza dai Paesi erogatori delle vecchie fonti di energia, ma soprattutto eviterebbe un ulteriore peggioramento dell’ecosistema.
Per questo l’Europarlamento ha da poco stabilito regole che sveltiscono le procedure di installazione dei sistemi di sfruttamento degli elementi atmosferici ai fini della produzione di energia elettrica.
Sotto questo profilo ci sono nazioni molto più virtuose della nostra, anche tra le più insospettabili.
Il Portogallo per esempio, uscito da un periodo di grave default, è riuscito a reinventarsi anche incentivando questo tipo di generazione di elettricità per mezzo di fonti naturali.
Si stima che entro dieci anni la nazione iberica riuscirà a raggiungere il 100% di energie rinnovabili impiegate. Già adesso si attesta intorno all’80%.
Il nostro è un Paese a cui la natura arride da sempre: abbiamo il sole, abbiamo zone fortemente ventose e zone sismiche sfruttabili per la corrente tellurica, siamo circondati dal mare, eppure non riusciamo a formulare un progetto innovativo serio sulle energie rinnovabili, nonostante tutto ci faccia capire che ormai è l’unica strada percorribile.
Ancora una volta viene da chiedersi: perché gli altri sì e noi mai?
