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Si chiamava Pavel Pchelnikov, aveva 52 anni, era manager delle ferrovie russe, ed è stato trovato morto in casa sua a Mosca per cause poco chiare.
Pchelnikov aveva dichiarato pubblicamente di essere contrario alla prosecuzione della guerra in Ucraina.
Il manager è solo l’ultimo di una fitta serie di “morti accidentali” molto sospette, che negli ultimi mesi hanno coinvolto una serie di eminenti nomi dell’Establishment russo, tutti apertamente ostili all’invasione in atto.
C’è stato il caso di Dmitry Goloshchapov, morto in una sorta di ritorsione mafiosa: quattro giorni dopo che il padre Konstantin, un tempo molto vicino a Putin, era fuggito in Bielorussia.
Il direttore della Gazprom è stato trovato senza vita nella sua piscina a luglio.
Il magnate Alexander Subbotin sembra sia stato avvelenato con tossine estratte dai rospi.
Il top manager Ivan Pechorin ha trovato la morte cadendo dal suo yacht al largo dei mari del Giappone in circostanze come al solito tutt’altro che chiare. E la lista sarebbe ancora lunga.
È difficile far finta di non capire chi sia il mandante di questa strage dilazionata. Anche perché il modus operandi è sempre piuttosto ovvio: chi commissiona la morte dei suoi avversari pare voglia metterci la firma in calce, proprio come certi nemici che James Bond si trovava a fronteggiare in piena Guerra Fredda.
Quello che stupisce di più è che qualcuno possa agire indisturbato anche sul suolo straniero, eliminando chiunque si dimostri minimamente critico verso le scelte guerrafondaie, senza che alcun Paese occidentale si esprima in maniera esplicita su questa inquietante escalation di uccisioni.
Gli stessi giornali sembrano ormai essersi abituati all’andazzo, limitandosi a pubblicare un breve lancio di agenzia.
Pare quasi che ciò che all’inizio può stupire e indignare, se prosegue indisturbato con una certa metodicità, finisca per essere accettato come normale routine.

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