A marzo dell’anno scorso una manager torinese di 32 anni è stata aggredita e violentata da tre uomini in un locale a Milano.
Il 16 gennaio di quest’anno i colpevoli sono stati condannati a 3 anni e 7 mesi di reclusione, per violenza sessuale di gruppo.
Ma in quella notte per la vittima si è spalancato un baratro ed è iniziato un percorso di cure, tra profonda depressione e rari momenti di serenità, ricoveri in ospedale e psicologi, sempre accompagnata dai familiari per paura di un gesto irreparabile.
Anche i colleghi e i dirigenti dell’azienda le si erano stretti attorno, sostenendola e incoraggiandola a non mollare.
Dopo sei mesi infernali aveva tentato di tornare al lavoro, ma senza riuscirci: “La mia vita quella notte è cambiata, ma ce la farò, ho solo bisogno di altro tempo” aveva raccontato ai colleghi e superiori.
Però lo scorso 11 marzo l’azienda, con sede legale in Olanda, l’ha licenziata:
“In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di ‘Service Merchandiser’ da lei attualmente ricoperta e ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi”.
Sottolineando: “La informiamo che, dopo attenta verifica, abbiamo constatato l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni”.
Non era più efficiente e perciò le hanno offerto 5mila euro di buonuscita.
La donna ha impugnato il licenziamento. Il suo avvocato, Alexander Boralevi, sostiene che la verità sia un’altra:
“Purtroppo dei filmati erano finiti in alcune chat e per l’azienda ci sarebbe stata una perdita di credibilità. E poi non avevano tempo di aspettarla, di permetterle di riprendersi al 100% fisicamente”.
Riassumendo: se sei donna e lavori, non farti stuprare e filmare altrimenti ti licenziano.
Oppure, se proprio non riesci a impedire lo stupro, fingi di stare bene per tenerti il lavoro.
Non sappiamo come andrà a finire, se questa giovane donna verrà reintegrata o dovrà subire anche la paura di non avere un lavoro. Di sicuro, allo stupro è stata aggiunta l’umiliazione di un licenziamento.
Mica male per la civile Italia… Poi ci stupiamo quando le vittime di reati odiosi si suicidano.