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In un tempo neanche troppo lontano si scriveva a mano, sulla carta.
Sembrano passati millenni per come ci siamo disabituati a prendere in mano una penna e scrivere qualcosa, a parte la lista della spesa.
La vita quotidiana ci spinge verso una comunicazione sempre più veloce: chi ascolta non è in grado di mantenere viva l’attenzione per più di qualche minuto, sui social si scelgono testi che durino meno di sessanta secondi.
Anche la Chiesa pare voler assecondare i cambiamenti che avvengono nella società civile.
Sarà per questo che Papa Francesco, durante l’Udienza Generale di qualche giorno fa, ha indicato in modo preciso come deve avvenire l’omelia: “Deve essere breve, massimo di otto minuti, altrimenti la gente si addormenta e ha ragione”.
“L’omelia deve aiutare a trasferire la Parola di Dio dal libro alla vita”, ha aggiunto il Pontefice, “però, per essere efficace, deve limitarsi a un’immagine, un pensiero, un sentimento”.
Perché a quanto sembra anche i preti sono prolissi: “A volte parlano molto e non capisci di cosa stanno parlando”, ha spiegato il Papa.
La questione era già stata affrontata da Benedetto XVI, quando ancora era un cardinale e indicò alcuni suggerimenti riguardo all’omelia: occorre definire con precisione un tema principale, evitare di voler dire troppe cose, non dilungarsi oltre gli otto minuti, tempo massimo di concentrazione di chi ascolta.
Anche Papa Francesco, all’inizio dell’anno scorso, aveva dichiarato: “Lo dico con rispetto ma con dolore, tante omelie sono troppo astratte: invece di svegliare l’anima l’addormentano. A volte le nostre prediche e insegnamenti rimangono generici, incapaci di toccare l’anima e la vita della gente. Perché mancano della forza dell’oggi. A volte si ascoltano conferenze impeccabili, discorsi ben costituiti che però non smuovono il cuore e così tutto resta come prima”.
E forse il punto è proprio questo: non la durata, ma il contenuto. Se le persone si addormentano è perché le parole sono distanti dalla loro vita e risuonano vuote…

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