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File chilometriche per accaparrarsi gadget gratuiti, cover di smartphone, e persino per fare colazione nel bar di quartiere.
È quello che sta succedendo in tante città italiane come Milano, Roma o Napoli.
Se un tempo era considerato un fastidioso inconveniente da evitare, oggi sembra che mettersi in fila comporti un crescente grado di soddisfazione nelle persone, come se l’attesa fosse parte integrante e irrinunciabile dell’evento a cui si partecipa.
Ma come siamo arrivati a questo punto?
Nel nuovo universo valoriale che i social hanno creato, scattare dei selfie mentre ci si mostra in attesa di un evento che viene percepito come esclusivo aumenta il senso di appartenenza, seppur fittizio, a una comunità di “privilegiati”.
D’altra parte, per le aziende avere la fila fuori dai propri eventi e negozi è diventato un must: addirittura, ci sono alcuni marchi di lusso che hanno ridotto la capienza dei negozi proprio per attirare l’attenzione grazie alla coda di persone che aspettano all’esterno.
Le file, poi, si adattano perfettamente al funzionamento degli algoritmi dei social: l’attenzione che attirano è polarizzata, e porta a reazioni di forte curiosità o altrettanta indignazione (si pensi all’ondata di sdegno suscitata dalle strade intasate dall’armata di turisti che si recavano a Roccaraso al seguito di Rita De Crescenzo).
Che siano reazioni positive o negative, insomma, la fila genera visualizzazioni. E in quest’epoca, l’abbiamo capito, le visualizzazioni sono tutto.
Non è solo colpa dei social, comunque. L’economia comportamentale ci insegna che le persone, messe davanti alla scelta tra un posto con la coda e l’altro senza, pensano automaticamente che quello con la fila sia migliore.
E anche chi non condivide la sua esperienza sui social troverà di certo più sopportabile affrontare ore di fila con lo smartphone in mano.
D’altronde, lo dice anche il proverbio: il postulante fa la gioia del negoziante.

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