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Si può parlare di un’epidemia di suicidi?
Ragazzi che si tolgono la vita per motivi diversi, ma spaventosamente affini: Seid Visin morto a vent’anni per il razzismo che subiva ogni giorno, Orlando Merenda suicida a diciotto anni, perseguitato da bullismo a sfondo omofobo e forse finito in un giro di prostituzione minorile.
Storie accomunate da dinamiche persecutorie, simili nel voler espropriare i ragazzi di quella profonda voglia di vivere che dovrebbe caratterizzare un’età spensierata, ma particolarmente vulnerabile.
Non è un caso che molti di questi suicidi abbiano luogo in contesti medio-piccoli o quartieri suburbani dove è difficile organizzare reti di supporto sia psicologico che giuridico, in cui i ragazzi si sentono intrappolati.
La chiusura del contesto scolastico dove ogni giorno si incontrano le stesse persone, la cecità delle istituzioni e l’impossibilità di andare via per ricominciare altrove sono i principali responsabili dell’oppressione patita da molti ragazzi, che non trovano altra via di fuga dalle violenze subite se non la morte.
Questi contesti sono al centro dell’esplorazione sociale promossa da “I confini del male”, di P.G. Daniel, raccolta di racconti ispirati a recenti fatti di cronaca nera, in cui le storie narrate spesso si concludono con una morte violenta o un suicidio.
Ma c’è davvero differenza? Spingere un ragazzo a togliersi la vita per disperazione viene spesso giustificato come goliardia, una “bravata”, e quasi mai perseguito legalmente come una reale istigazione al suicidio.
Secondo l’attuale legislazione, che il DDL Zan dovrebbe modificare, l’omofobia non sarebbe un’aggravante penalmente perseguibile nel caso di violenze fisiche e psicologiche.
Perciò non rimane che sperare nella sua approvazione per tutelare adeguatamente la comunità LGBT+ e per intervenire nei confronti dei cosiddetti “ragazzi normali”, quelli che, nei racconti di P.G. Daniel, “frequentano il liceo nel vicino capoluogo” e non provengono da situazioni disagiate.
Ragazzi che, per colpa di quegli stessi contesti claustrofobici che condannano le loro vittime, possono trasformarsi in carnefici, se non addirittura in assassini. Solo per noia e ignoranza.

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