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Nella bolla mediatica fatta dai numerosi articoli di giornale, servizi, interviste e opinioni che ormai sono inestricabili dalla nostra percezione del reale, si possono facilmente discernere degli argomenti ricorrenti, quasi delle mode.
Uno dei filoni più sfruttati degli ultimi mesi è la lamentela di imprenditori e ristoratori che non riuscirebbero a trovare lavoratori da assumere, nonostante la disoccupazione rampante in Italia, perché, a detta loro, i giovani preferirebbero stare a casa a percepire vari sussidi, piuttosto che mettersi in gioco con il lavoro fisico.
Ma queste interviste semplicistiche, dove gli unici a parlare sono gli imprenditori, rischiano di restituire una visione quanto mai parziale della questione. Nessuno chiede a questi imprenditori il salario all’ora che i loro lavoratori percepiscono, né la durata effettiva di ciascun turno. Mentre i dati (accuratamente evitati dai giornalisti) parlano chiaro: l’età media dei percettori di sussidi quali il reddito di cittadinanza è decisamente più alta dei ventenni a cui questi servizi fanno riferimento.
Sarebbe bello invece sentir parlare i giovani, per una volta. Quei giovani di cui ci si ricorda raramente, e che ancor più raramente prendono la parola; quei giovani laureati che, affacciandosi al lavoro in tempo di pandemia, trovano un territorio quanto mai desolato di fronte a sé e, al posto di supporto e assistenza, ricevono solo la presa in giro di queste dannosissime narrazioni.
La situazione non migliora, andando ad analizzare il lavoro specializzato. È di alcune settimane fa la notizia di una giovane ginecologa che, a seguito del pesante mobbing ricevuto in un ospedale di Trento, è scomparsa in un bosco, e i soccorsi disperano di trovarla ancora in vita: l’ennesimo suicidio. Si parla di gerarchie insostenibili, di illazioni sulla sua presunta incapacità, di turni di lavoro massacranti.
Il problema del lavoro giovanile non è la pigrizia. Né i sussidi. Il problema è ben più vasto.
Bisogna aspettare che finalmente l’opinione comune smetta di semplificare la questione dando la colpa ai giovani. Perché la strada più facile non ha mai cambiato le cose, e capire dove davvero si annida un problema è il primo passo per risolverlo.

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