Esistono due tipi di libertà: la libertà “di” e la libertà “da”.
La libertà di fare quello che si vuole, e la libertà da cose e persone che costituiscono un possibile pericolo.
Troppo spesso questi due concetti si sovrappongono e, nel perseguire la propria libertà, ci si ritrova a ostacolare quella degli altri, in quanto considerati una minaccia.
È proprio questa sovrapposizione a dare origine a numerosi episodi di violenza che popolano le pagine dei giornali: la paura del diverso, la volontà di proteggere i propri cari, la ricerca della “libertà da” fanno sì che soggetti anche insospettabili ricorrano alla forza per avere ciò che vogliono.
Un caso eclatante è quello dell’assessore comunale di Voghera, che ha ucciso con un colpo di arma da fuoco un uomo marocchino che, a suo dire, avrebbe importunato gli avventori di un bar.
Un uomo disarmato, ucciso a sangue freddo da un assessore che girava armato per la sua città, come se appartenesse alle forze dell’ordine.
Come è possibile sentire storie del genere qui in Italia, dove il possesso delle armi da fuoco è (o meglio, dovrebbe essere) strettamente regolamentato?
Perché uccidere un uomo disarmato viene legittimato come un perseguimento di quella famosa “libertà” che ormai suona sempre più come una parola vuota, simulacro di una cultura di violenza in cui, per essere liberi, è necessario che gli altri non lo siano?
Aspettando che la giustizia faccia il suo corso, è necessario tornare a un concetto di libertà positivo, ripulito dalla cultura di violenza che ci circonda.
Una libertà che non è sconfinata, ma finisce dove inizia la libertà degli altri. E per fortuna.