“Te stai dentro, che qua fuori è un brutto mondo!”
Questa è una delle frasi più celebri di Ivan Benassi, personaggio interpretato da Stefano Accorsi nel film “Radiofreccia”.
Chissà se quel “brutto mondo” è lo stesso dal quale tentano di fuggire, ogni giorno, migliaia di ragazze e ragazzi in tutta Italia. Una fuga silenziosa, fatta di tapparelle abbassate, porte chiuse a chiave, schermi del computer perennemente accesi.
Di estraniazione da tutto, affetti compresi.
Un fenomeno di cui non si hanno stime precise: si pensa siano centomila casi, probabilmente sono molti di più.
Migliaia di storie tutte differenti eppure, in un certo senso, tutte uguali.
Sono gli hikikomori, termine giapponese che significa “distaccarsi”. Giovani che scelgono, volontariamente, di estraniarsi da ciò che sta al di fuori delle loro stanze, imponendosi una sorta di carcerazione senza alcuna colpa da espiare.
I motivi?
Si va dall’eccessiva timidezza e dalla paura del confronto con gli altri all’incapacità di sopportare l’ennesimo atto di bullismo o le pressioni asfissianti di professori e genitori, fino ad arrivare a una vera e propria repulsione verso la società o alla totale dipendenza dal web e dai videogames.
Gli hikikomori sono anime fragili vittime di se stesse.
Le loro famiglie non sanno come affrontare questi comportamenti di chiusura né come riuscire a impedirli.
Esiste però una rete importante, l’Associazione Hikikomori Italia, punto di riferimento per i genitori di quei giovani che hanno deciso di tagliare i ponti con il mondo esterno.
Ma che cosa si può fare, davvero, per aiutare un hikikomori a uscire, in tutti i sensi, dalla sua personale gabbia?
Intanto, non bisogna giudicare la loro scelta, non forzare l’uscita dall’isolamento – si otterrebbe l’effetto opposto – ed evitare in ogni modo di perdere i contatti con loro.
Cercare il dialogo anche su questioni apparentemente banali, quotidiane, far capire che il tempo non si è fermato durante l’isolamento.
Bisogna insistere con pazienza, per aiutarli a capire che quel mondo, là fuori, può diventare un’esperienza imperdibile chiamata Vita.